Controllo intensivo della pressione arteriosa e danno cerebrovascolare – Lo studio INFINITY

Controllo intensivo della pressione arteriosa e danno cerebrovascolare – Lo studio INFINITY
A cura di ​Dott.ssa Liuba Fusco, Spec in Cardiologia (Bologna);
​Dott.ssa Anna Pontarin Specializzanda in Geriatria (Padova)

Articolo tratto dall’American College of Cardiology ACC 2019 Scientific session: Abstract 409-12. Presented by Dr. William B. White at the American College of Cardiology Annual Scientific Session (ACC 2019), New Orleans, LA, March 18, 2019. ”Intensive vs. Standard Ambulatory Blood Pressure Lowering to Lessen Functional Decline in the Elderly – INFINITY ”

In questa 68° edizione dell’ACC (American College of Cardiology) è stato presentato il risultato dello studio INFINITY il cui importante scopo consisteva nell’indagare il possibile ruolo protettivo di un controllo farmacologico intensivo della pressione arteriosa sistolica sul decadimento cognitivo, in pazienti anziani, monitorando i danni cerebrali attraverso la risonanza magnetica (RM). In particolare, in questo studio è stata analizzata la malattia dei piccoli vasi sottocorticali valutata attraverso l’iperintensità della sostanza bianca (WMH) alla RM encefalo. L’outcome primario, che consisteva nella correlazione tra controllo intensivo della pressione arteriosa ed impatto sul deficit cognitivo, non è stato dimostrato pur assistendo ad una correlazione tra bassi valori tensivi e riduzione della progressione del danno cerebrovascolare alla RM. E’ ben noto che l’ipertensione arteriosa gioca un ruolo importante nel danno vascolare cerebrale e già altri studi hanno dimostrato che un elevato carico di lesioni della sostanza bianca è correlato ad un maggiore grado di declino cognitivo annuale (1). Tra questi, molto significativo risulta l’analisi dello SPRINT MIND condotta sulla coorte dello SPRINT che evidenziava il miglioramento del deficit cognitivo nei 5 anni di follow up con riduzione del rischio di mild cognitive impairment nei pazienti con pressione arteriosa minore di 120 mmHg ( 14.6 vs 18.3 casi/1000 persone – anno; HR 0.81; 95% CI 0.69-0.95) pur non mostrando una differenza statisticamente significativa tra i due gruppi ( hazard ratio 0.83; 95% CI 0.67-1.04) sul tasso di demenza (2). Dalle recenti evidenze emerge l’importanza, poi tradotta nelle linee guida, di un maggiore controllo della pressione arteriosa al fine di limitare il danno cerebrovascolare. Nonostante la ricca letteratura sulla relazione tra pressione arteriosa, danno cerebrovascolare e decadimento cognitivo (3), le novità dello studio INFINITY consistono nell’uso dell’imaging per la valutazione anatomopatologica del danno cerebrale e nella valutazione pressoria domiciliare. Questo studio ha arruolato 199 pz di età superiore o uguale a 75 anni (età media di 81 anni), con normale capacità cognitiva e mobilità ma con evidenza di WMH alla RM ed ipertensione arteriosa in trattamento. La pressione arteriosa media era rilevata attraverso il monitoraggio ambulatorio delle 24 ore. I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi con diversa gestione dei valori tensivi: 49 pazienti sono stati trattati farmacologicamente in maniera intensiva tale da raggiungere un target massimo della pressione sistolica di 130 mmHg e 54 pz (nel gruppo di gestione standard) erano trattati, invece, in modo da raggiungere un target massimo di 145 mmHg. La pressione arteriosa media di base era 150 mmHg poi diventata mediamente 131/65 mmHg nel gruppo intensivo e 146/74 mmHg nel gruppo standard. Nel gruppo con gestione intensiva la progressione della WMH risultava alla RM encefalo ridotta del 40% nei 3 anni di follow up successivi, in particolare la progressione era 0.29 (± 0.39%) rispetto al gruppo standard dove risultava, invece, essere 0.50 (± 0.70%). Ma questo non si è tradotto in un miglioramento nei test cognitivi né in un miglioramento nei test di motilità. Inoltre si è rilevato che i pazienti nel gruppo con trattamento pressorio intensivo andavano incontro a meno eventi cardiovascolari maggiori quali infarto acuto del miocardio, stroke, TIA e ospedalizzazione per scompenso cardiaco (76% in meno rispetto al gruppo trattato in maniera standard) ( P<.01). “Se anche l’end point primario non è stato dimostrato, è possibile trarre da questo studio numerosi dati preziosi” ha dichiarato William B. White, Principal Investigator, MD del National Institute of Aging, National Institutes of Health, Lowell Weicker Clinical Research Center at the University of Connecticut Health Center, Farmington. In conclusione, dai dati descritti è possibile ipotizzare che il deficit cognitivo, indagato attraverso i test clinici, segua il danno anatomico, rilevabile alla RM, ma con tempi più lunghi rispetto ai 3 anni del follow up qui analizzati. Risulta quindi evidente l’importanza sempre maggiore dell’integrazione clinico strumentale per interpretare in maniera più analitica i risultati degli studi.
Bibliografia
1) SJ Jiménez-Balado et al Hypertension. 2019;73: 342–349. Hypertension. 2019;73:342–349
2) SPRINT MIND Investigators for the SPRINT research group. JAMA, 2019; 321 (6):553-561.
3) White WB1 et al. Relationships among clinic, home, and ambulatory blood pressures with small vessel disease of the brain and functional status in older people with hypertension. Am Heart J. 2018; 205:21-30.

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