Giuseppe Trisolino – Spec. in Cardiologia, Segretario Regionale ANCE
L’infezione da SARS-CoV-2 (COVID-19) è causa di una pandemia con impostanti implicazioni cliniche, sociali ed economiche. Il COVID-19 può manifestare un ampio spettro di gravità, da forme asintomatiche a forme fatali. Un’ulteriore fonte di eterogeneità è la durata dei sintomi. È ormai ampiamente noto che la malattia non sempre si esaurisce con la negativizzazione del tampone molecolare, ma può mostrare, anche per alcuni mesi, un’ampia varietà di sintomi inabilitanti quasi a rappresentare una sorta di prolungamento della malattia virale (affaticamento, mancanza di respiro, dolori muscolari e/o articolari, intolleranza all’esercizio, palpitazioni, mal di testa, perdita di memoria, nausea e drammatici disturbi dell’umore). La durata della persistenza dei sintomi non sembra essere collegata all’intensità degli stessi durante la malattia. Può accadere, infatti, che anche i pazienti che hanno avuto una forma lieve di Covid-19 sviluppino problemi a lungo termine. (1,2) Questa condizione è stata denominata sindrome “post-COVID-19” o “long-COVID-19”. Molti dei sintomi riferiti (tachicardia/palpitazioni, dolore toracico, affaticamento e dispnea con ridotta tolleranza allo sforzo), suggeriscono una possibile causa cardiovascolare altri, invece, (dolori muscolari e/o articolari, cefalea, perdita di memoria, nausea, disturbi dell’umore) suggeriscono il possibile coinvolgimento di altri sistemi. Ci sono crescenti evidenze che un certo numero di sintomi post-COVID-19 quali quelli neurologici (es. anosmia, disgeusia) così come l’ipotensione ortostatica o la tachicardia ortostatica potrebbero essere correlati a compromissione del sistema nervoso autonomo (SNA) per danno diretto (gangli e/o terminazioni nervose) da parte del virus, effetto tossico delle citochine infiammatorie rilasciate durante l’infezione acuta e risposta immuno-mediata innescato da alcuni componenti virali. (3) Appare importante, quindi, stabilire, non solo in forma speculativa, la frequenza della disautonomia e dimostrarne l’eventuale associazione con i sintomi, ma anche la limitazione soggettiva o oggettiva nei pazienti affetti da COVID-19. Utilizzando una popolazione post-COVID-19 in età lavorativa, alcuni Autori, con lo scopo di determinare e caratterizzare la possibile associazione tra sintomi soggettivi e disautonomia nonché l’evidenza oggettiva di intolleranza all’esercizio tra i pazienti classificati “con” e “senza” disautonomia, hanno analizzato i dati di 250 pazienti che soddisfacevano specifici criteri di idoneità (ospedalizzazione e desaturazione ≤ 95% su uno step test di Harvard o dolore toracico con alterazioni dell’ECG durante la malattia acuta e sintomi limitanti persistenti per oltre 12 settimane). (6) Per la diagnosi di disautonomia associata all’esercizio (quest’ultimo fornisce un mezzo sicuro per esporre squilibri nell’attività parasimpatica e simpatica che possono essere nascosti a riposo), sono stati utilizzati i criteri di Jouven. (7): 1-frequenza cardiaca (FC) a riposo >75 bpm; 2-aumento della FC durante l’esercizio < 89 bpm; 3-recupero della FC <25 bpm nei primi 60 s dopo la cessazione dell’esercizio. Un marker ben convalidato del tono parasimpatico è la variabilità nell’intervallo di tempo tra i battiti cardiaci (HRV) registrata a riposo che appare è associata alla gravità della malattia acuta da COVID-19. Sia i valori a riposo che quelli di recupero sono stati suggeriti come indicatori della modulazione cardiaca parasimpatica. (4) Si è osservato che i pazienti con COVID-19, rispetto ai soggetti sani, mostrano parametri di variabilità della frequenza cardiaca ridotti dopo circa 20 settimane dal recupero dalla malattia. (5) La diagnosi di disautonomia richiedeva che tutti e 3 i criteri di Jouven fossero soddisfatti. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a test da sforzo cardiopolmonare e divisi in due gruppi, in base all’evidenza o meno della disautonomia. La durata media dall’insorgenza dei sintomi alla data della valutazione test cardiopolmonare è stata di circa sei mesi. La disautonomia è stata trovata nel 25% dei soggetti valutati. Secondo i parametri prefissati, i pazienti con disautonomia, rispetto a quelli senza disautonomia, mostravano prestazioni inferiori al test cardiopolmonare: FC a riposo più alta (95±12 vs 81±12 bpm, p<0,001), minore incremento della FC durante il test (75±12 vs 96±13 bpm, p<0,001) e del recupero della FC dopo il picco di esercizio (17±4 vs 31±17 bpm, p<0,001). L’HRV era inferiore nei pazienti con disautonomia (p <0.001). Va sottolineato, però, che la differenza in termini di FC più alta a riposo e il recupero della frequenza cardiaca più basso dopo esercizio tra il gruppo con disautonomia e quello senza disautonomia potrebbe essere condizionata, pur essendo espressione di squilibrio del tono simpatico-vagale, da alcune caratteristiche cliniche differenti tra i due gruppi (i pazienti disautonomici avevano un BMI e circonferenza vita più elevati, una minore efficienza nella funzione respiratoria e un tono dell’umore più basso). Inoltre, i pazienti con disautonomia mostravano una frequenza respiratoria (FR) più elevata (p=0,006), ma inferiore capacità vitale forzata (CVF p=0,031), FEV1 (p=0,036) ed efficienza ventilatoria (VE/VCO2; p=0,036). È stata trovata un’associazione significativa con la disautonomia per il basso tono dell’umore (p = 0,007), mal di testa (p = 0,026) e scarsa attenzione (p=0,047). Tuttavia, altri sintomi, inclusi alcuni di potenziale origine cardiovascolare quali la mancanza di respiro, l’affaticamento, non hanno mostrato un’associazione significativa con la disautonomia. I pazienti con disautonomia erano più anziani, avevano un indice di massa corporea (BMI) più elevato e una circonferenza vita più elevata. Non sono state osservate differenze significative nella durata tra l’insorgenza dei sintomi e la data di valutazione tra i pazienti con e senza disautonomia (180 ± 81 giorni vs 184 ± 76 giorni, rispettivamente; p=0,347). In conclusione, diversi mesi dopo la dichiarazione della pandemia di COVID-19, stanno emergendo nuovi modelli di sintomi e sindromi come il “COVID lungo”. Questo studio ha identificato la disautonomia in una prevalenza elevata (25%) di adulti attivi in età lavorativa valutati con una malattia COVID-19 post-acuta mediana di 6 mesi. Utilizzando i criteri di Jouven per identificare i pazienti con disautonomia non sono state trovate associazioni clinicamente significative con sintomi soggettivi quali affanno, palpitazioni o intolleranza all’esercizio che si potrebbero ragionevolmente prevedere come conseguenza della disautonomia. La capacità funzionale oggettiva, invece, era ridotta nella disautonomia. L’associazione tra disautonomia e sintomi quali mal di testa, basso tono dell’umore e scarsa attenzione ha mostrato una correlazione trascurabile in termini numerici. In definitiva la disautonomia appare associata a limitazione funzionale oggettiva, ma non associata o causa di limitazione soggettiva o sintomi di malattia cardiorespiratoria.
Riferimenti bibliografici
1) Carfì A., Bernabei R., Landi F. Persistent symptoms in patients after acute COVID-19. JAMA. 2020; 324:603–605
2) Augustin M. Schommers P. Post-COVID syndrome in non-hospitalized patients with COVId-19; a longitudinal prospective cohort study. Lancet Reg Health. 2021 Jul; 6: 100122
3) Dani M. Dirksen A. et al. Autonomic dysfunction in ‘long COVID’: rationale, physiology and management strategies. Clinical Medicine. 2021; 21: e63-e67.
4) Pan Y., Yu Z., Yuan Y., et al. Alteration of autonomic nervous system is associated with severity and outcomes in patients with COVID-19. Front Physiol. 2021; 12:630038
5) Kurtoğlu E., Afsin A. et al. Altered cardiac autonomic function after recovery from COVID-19. Ann Noninvasive Electrocardiol. 2021 Nov 24; e12916.
6) Ladlow P., O’Sullivan O. et al. Dysautonomia following COVID-1 19 is not associated with subjective limitations or symptoms, but is associated with objective functional limitation. Heart Heart Rhythm 2021;1–8)
7) Jouven X., Empana J.-P.et al. Heart-rate profile during exercise as a predictor of sudden death. N Engl J Med. 2005; 352:1951–1958