Associazione tra riduzione della pressione arteriosa e demenza o danno cognitivo. Una revisione sistematica e una meta-analisi
Giuseppe Trisolino, Spec. in Cardiologia. Segretario Regionale ANCE Emilia Romagna
L’ipertensione è il più importante fattore di rischio modificabile per lo sviluppo di declino cognitivo e demenza, sia per la sua elevata diffusione che per il suo coinvolgimento nei meccanismi fisiopatologici della demenza vascolare e della malattia di Alzheimer.(1) E’ stato possibile dimostrare, mediante Risonanza Magnetica, che il danno microstrutturale della sostanza bianca cerebrale comincia a delinearsi nel paziente iperteso sin dall’età adulta, quando ancora non è identificabile un deficit cognitivo. Il pericoloso link tra ipertensione arteriosa e declino cognitivo è stato sottolineato dall’American Heart Association con uno statement pubblicato su Hypertension nel 2016 (2) ed un trattamento antipertensivo efficace è in grado di rallentarne il processo come suggerito dall’analisi di un ampio database cinese. (3) In questo studio osservazionale, i ricercatori della Columbia University avevano analizzato i dati raccolti su quasi 11.000 adulti dello studio longitudinale cinese CHARLS tra il 2011 e il 2015, per valutare in che modo la pressione arteriosa alta e il suo trattamento potessero influenzare il declino cognitivo. Gli ipertesi non in trattamento avevano mostrato, in questo studio, un più rapido declino cognitivo rispetto ai trattati e i normotesi. Una recente revisione sistematica della letteratura, che ha incluso una meta-analisi di 14 studi che avevano riportato l’incidenza di demenza o declino cognitivo (outocome primario) e le variazioni nei punteggi dei test cognitivi (outcome secondario), per un totale di circa 96 mila partecipanti, ha documentato che l’abbassamento dei valori pressori con farmaci antipertensivi si correla significativamente ad una riduzione dei disturbi neurocognitivi. (4) La popolazione esaminata aveva un’età media di 69 anni ed era costituita per il 42% da donne. I valori di pressione arteriosa (PA) media a livello basale erano 154/83.3 mmHg. Il follow up è durato 4 anni. I gruppi di controllo consistevano in placebo, agenti antiipertensivi alternativi o target di pressione arteriosa più alta. L’abbassamento della pressione arteriosa con agenti antiipertensivi rispetto al controllo è stato significativamente associato a un ridotto rischio di sviluppare demenza o disturbo cognitivo (7.0% vs 7.5%) OR 0.93 (95% CI, 0.88-0.98), con una riduzione del rischio assoluto di 0.39% (95% CI, 0.09%-0.68%). L’abbassamento della pressione sanguigna non è stato significativamente associato a una variazione dei punteggi dei test cognitivi. Questa meta-analisi, pur con i limiti della brevità del follow-up, conferma ulteriormente che l’abbassamento della pressione arteriosa con agenti antiipertensivi, rispetto al controllo, è significativamente associato con un minor rischio di demenza o compromissione cognitiva pur in assenza di cambiamenti nei punteggi dei test cognitivi. Il fatto che non sia stata osservata una riduzione significativa nel cambiamento nei test indica la necessità di ulteriori studi con outcome clinicamente rilevanti per valutare gli interventi preventivi nelle popolazioni. La traduzione nella pratica clinica di questa revisione sistematica della letteratura, suggerisce che uno screening efficace e la gestione ottimale dell’ipertensione, sin dal suo esordio, sono essenziali per ridurre il rischio di danni irreversibili cerebrali. In definitiva, sebbene il minor rischio associato al trattamento della pressione arteriosa appaia modesto per il singolo, l’effetto a livello di popolazione, data l’incidenza della demenza in una popolazione che invecchia, può essere considerevole nel ridurre il burden della demenza a livello globale.