Regressione della placca coronarica osservata con Icosapent Ethyl – EVORATE trial
Giuseppe Trisolino – Spec. in Cardiologia, Segretario Regionale ANCE Emilia Romagna
Le statine si sono dimostrate, in modo ormai consolidato, molto efficaci nel ridurre il rischio cardiovascolare (CV) e nel rallentare la progressione dell’aterosclerosi. Il rischio CV, tuttavia, rimane elevato nei pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica e nei pazienti con trigliceridi (TG) elevati nonostante il trattamento statinico massimale.[1] Dopo una serie di studi negativi (ASCEND Engl J Med 2018; VITAL JAMA 2019) per gli omega-3, il REDUCE-IT trial [2] aveva dimostrato, invece, un effetto benefico con alte dosi di acido etilico eicosapentaenoico in una popolazione ad alto rischio cardiovascolare o già portatrice di malattia cerebrovascolare. Il REDUCE-IT, trial randomizzato prospettico, aveva valutato l’effetto del trattamento con acido etilico eicosapentaenoico (EPA) rispetto a placebo e dimostrato, dopo un follow up mediano di 4,9 anni, una riduzione del 23%, altamente significativa (p<0.001), nell’endpoint primario costituito dalla prima manifestazione di un evento CV avverso maggiore (MACE), ovvero uno qualsiasi tra morte CV, infarto miocardico non fatale, ictus non fatale, rivascolarizzazione coronarica o angina instabile. Attualmente le LG ESC [3] pongono in classe IIa livello di evidenza B l’uso degli omega 3 nei pazienti ad alto rischio con elevati livelli di TG. L’acido etilico eicosapentaenoico è un acido grasso polinsaturo omega-3 che si ritiene eserciti effetti benefici sulla via aterosclerotica con meccanismi multipli (miglioramenti nell’ossidazione dei lipidi, infiammazione, volume della placca, stabilizzazione della membrana, riduzione dei TG e altri parametri lipidici senza aumentare il colesterolo LDL). [4,5] Ciò ha costituito la premessa per il disegno dello studio Evaporate [6] che aveva l’obiettivo di valutare l’effetto di EPA sulla progressione o regressione delle placche aterosclerotiche attraverso documentazione angiografia con tomografie computerizzate seriate (CCTA). In questo studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, sono stati arruolati 80 pazienti (età 30-80 anni) con aterosclerosi coronarica documentata da CCTA (una o più stenosi angiografiche con restringimento ≥20%), essere in terapia con statine ed eventualmente ezetimibe, avere livelli di trigliceridi (TG) persistentemente elevati e nessuna storia di infarto miocardico, ictus o aritmia pericolosa per la vita nei 6 mesi precedenti e nessuna storia di bypass aorto-coronarico. I pazienti sono stati randomizzati ad acido etilico eicosapentaenoico 4 mg/die o placebo e seguiti per 18 mesi. I risultati (endpoint primario) hanno dimostrato che l’EPA ha ridotto significativamente il volume della placca a bassa attenuazione, caratteristica della placca ad alto rischio, del 17% dal basale a 18 mesi, mentre nel braccio placebo è stata osservata la progressione del volume della placca. (p = 0,0061). In dettaglio il valore medio al basale per il gruppo in terapia con acidi grassi insaturi era di 1,9 mm3 e di 0,8 mm3 per il gruppo placebo; dopo 18 mesi di terapia sono stati di 1,6 mm3 per entrambi i gruppi, con una riduzione di 0,3mm3 e un aumento di 0,9 mm3 (-17% e +109%). Le variazioni del volume delle diverse tipologie di placca tra i gruppi sono rimaste significative anche quando aggiustati per età, sesso, stato del diabete, ipertensione e valori di trigliceridi al basale. Solo le placche calcificate non hanno mostrato una differenza significativa tra i gruppi nella analisi multivariata. Questi risultati possono aiutare a spiegare i benefici cardiovascolari rilevati con acido etilico eicosapentaenoico nello studio REDUCE-IT. In conclusione l’EVAPORATE è il primo studio disegnato, in una popolazione con TG persistentemente elevati, per la valutazione dell’efficacia dell’EPA, in aggiunta alla terapia con statine, sulle variazioni delle caratteristiche della placca coronarica, utilizzando la CCTA. L’EVAPORATE fornisce dati importanti per chiarire ulteriormente i significativi vantaggi clinici e l’utilità dell’acido etilico eicosapentaenoico nel REDUCE-IT. Gli autori sostengono che “il motivo principale del beneficio di questa molecola non è probabilmente dovuto alla riduzione dei livelli di trigliceridi, ma sembra che possa giovare ai pazienti a causa della sua attività antiossidante e antinfiammatoria”. Ovviamente queste e altre azioni devono essere ulteriormente chiarite per comprendere i principali meccanismi responsabili dei benefici dell’acido etilico eicosapentaenoico.
Riferimenti
1) Fan W, Philip S, Granowitz C. et al. Hypertriglyceridemia in statin-treated US adults: the National Health and Nutrition Examination Survey. J Clin Lipidol 2019;13:100–108.
2) Bhatt DL, Steg PG et al REDUCE-IT Investigators. Cardiovascular risk reduction with icosapent ethyl for hypertriglyceridemia. N Engl J Med 2019;380:11–22.
3) 2019 ESC/EAS Guidelines for the management of dyslipidaemias: lipid modification to reduce cardiovascular risk. European Heart Journal (2020) 41, 111188
4) Patel AA, Budoff MJ. Effects of eicosapentaenoic acid and docosahexaenoic acid on lipoproteins in hypertriglyceridemia. Curr Opin Endocrinol Diabetes Obes 2016;23:145–149
5) Lakshmanan S, Shekar C. et al Association of high-density lipoprotein levels with baseline coronary plaque volumes by coronary CTA in the EVAPORATE trial. Atherosclerosis 2020; 305:34–41
6) Budoff MJ, Et al. Effect of icosapent ethyl on progression of coronary atherosclerosis in patients with elevated triglycerides on statin therapy: final results of the EVAPORATE trial, European Heart Journal, (2020) 00, 1–8 doi:10.1093/eurheartj/ehaa652
UPDATE cardiologia 2023
Gianluca Belletti
Responsabile Servizio di Cardiologia Unità Operativa Polispecialistica Ravenna 33
Questo è stato un anno di importanti novità, studi clinici, spunti di riflessione su tematiche che spaziano dalla cardiopatia ischemica, alle cardiomiopatie, alle valvulopatie, all’elettrofisiologia e sono state presentate al recente congresso europeo di Amsterdam nuove linee guida (diabete, sindrome coronarica acuta, endocardite infettiva, cardiomiopatie). Riguardo l’endocardite infettiva ad esempio, se non ci sono state novità (rispetto alle precedenti, in merito ai fattori di rischio cardiaci
(pregressa endocardite, valvulopatie, protesi valvolari, presenza di cateteri arteriosi o centrali) e non cardiaci (immunosoppressione, pazienti tossicodipendenti che si iniettano droghe, recenti procedure odontoiatiche o chirurgia, ospedalizzazioni o emodialisi), sono stati revisionati e schematizzati i criteri maggiori di diagnosi di laboratorio di endocardite quale il riscontro di lesioni valvolari, perivalvolari, periprotesiche (vegetazioni) mediante una delle seguenti metodiche di imaging (ecocardiogramma transtoracico, EcoTE, Tac cardiaca, Tac Pet). Una delle novità più importanti è sicuramente la possibilità di passare alla terapia endovena e orale a domicilio dopo 10 giorni di terapia endovena ospedaliera, previa esecuzione di ecocardiogramma transesofageo. Tale passaggio si può effettuare solo se il paziente è clinicamente stabile e se vi è a casa un’assistenza idonea. In merito al trattamento chirurgico, le nuove LG rimane in classe 1 A l’intervento in emergenza /urgenza dell’endocardite su valvola nativa o protesica con insufficienza valvolare acuta in caso di shock cardiogeno o edema polmonare. L’intervento chirurgico urgente è anche raccomandato (I B) in caso di infezioni non controllate ed in caso di endocarditi con vegetazioni persistenti più grandi di 10 mm, dopo 1 o più episodi embolici nonostante appropriata terapia antibiotica. Tema su cui si dibatte e mai completamente risolto è quello delle ostruzioni coronariche croniche, condizione che coinvolge fino al 10% degli infarti miocardici ST sopralivellato e fino al 18% delle coronarografie). Tale condizione impatta significativamente in negativo sulla prognosi fin da subito, come dimostra il registro, pubblicato quest’anno comprendente 12928 pazienti sottoposti a PTCA di ostruzioni croniche. I concetti che devono guidare la decisione di procedere a rivascolarizzazione sono la presenza di ischemia, la funzione sistolica del ventricolo sinistro e l’eventuale riduzione del rischio aritmico derivante dal ripristinare il flusso in quella determinata area miocardica. Gli studi randomizzati esistenti non hanno concluso nulla (verosimilmente perché studi con un numero di pazienti limitato, basso potere statistico e con alta percentuale di cross-over tra PTCA e terapia medica). In conclusione, la rivascolarizzazione di un’ostruzione cronica deve essere guidata dai sintomi e nel caso eseguita da operatori esperti. Altro argomento su cui in questo anno si è discusso molto è la consulenza cardiologica nella chirurgia non cardiaca. A partire dalle LG del 2022 è stata sottolineata l’importanza del calcolo del rischio di eventi cardiovascolari utilizzando una serie di scores: il più utilizzato dei quali è il Lee Cardiac risk score. Molto interessanti sono la possibilità di predire eventi cardiovascolari con l’esecuzione di coroTC prima di un intervento chirurgico, il valore prognostico di un incremento dei valori di troponina nel post-operatorio e gli effetti favorevoli di un trattamento personalizzato e potenziato dell’ipertensione arteriosa. Riguardo alla gestione della duplice terapia antiaggregante in paziente con recente IMA e stent, se vi è un alto rischio trombotico e/o è trascorso meno 1 mese dalla PTCA o meno di tre mesi dall’IMA (in presenza di alto rischio emorragico), se possibile si rinvia l’intervento chirurgico altrimenti le linee guida consentono l’impiego di cangrelor (inibitore P2Y12 endovena). A proposito di fibrillazione atriale quest’anno ci si è soffermati sull’inquadramento diagnostico che non può prescindere da una completa ed accurata ecocardiografia (speckle tracking ed eco 3 D) per definire anatomia, geometria e funzione dell’atrio e del ventricolo sinistro e per identificare le cause della fibrillazione atriale stessa. Ciò poiché i pazienti con ridotta funzione atriale sinistra hanno una più alta percentuale di fibrosi e rimodellamento, più alto rischio di eventi cardioembolici, più elevata possibilità di sviluppare fibrillazione atriale dopo un intervento cardiochirurgico e più elevata possibilità di recidiva dopo ablazione o cardioversione. Nelle linee guida del 2020, l’ablazione della fibrillazione atriale persistente o parossistica (paziente sintomatico) è in classe 2A, in classe I in caso di insuccesso della terapia medica, segni di scompenso cardiaco ed FE ridotta. Lo studio Castle-AF ha documentato un significativo vantaggio clinico dell’ablazione nei pazienti con scompenso cardiaco con riduzione sia dei ricoveri per peggioramento dello scompenso e che della mortalità per tutte le cause e sta per essere pubblicato su JACC uno studio su 2000 pazienti che mette in evidenza che i risultati, in termini prognostici, dell’ablazione si hanno se la stessa viene effettuata prima possibile entro i primi 3 anni dalla diagnosi. È stato sottolineato e confermato che è essenziale la profilassi degli eventi trombotici con terapia anticoagulante (preferibilmente NOAC) nei pazienti con fibrillazione atriale ed elevato rischio embolico, includendo anche il paziente anziano e fragile (come mostrano diversi registri, l’ultimo dei quali l ETNA-AF per edoxaban). La chiusura percutanea dell’auricola di sinistra è attualmente una procedura disponibile, consolidata e sicura in mani esperte, per ridurre il rischio di ictus nei pazienti con controindicazione alla terapia anticoagulante ad elevato rischio emorragico. È ormai riconosciuta la possibilità di identificare episodi più o meno prolungati di aritmie con dispositivi elettronici (tipo Apple Watch), capacità che in precedenza veniva riconosciuta solo ai device (PM e AICD). Tra le novità troviamo anche la definizione del rischio cardioembolico degli AHRE (episodi di tachiaritmia atriale con frequenza maggiore di 190/min); nel 2023 è stato pubblicato lo studio NOAH-AFNET 6 che ha randomizzato 2500 pazienti con AHRE ad edoxaban o placebo. Età media elevata, CHADS 2 VASC medio di 4, endpoint di stroke e morte cardiovascolare. Lo studio è stato interrotto prematuramente per futilità: nessuna differenza significativa riguardo gli endpoint primari e un trend di incremento dei sanguinamenti. Molto importanti le novità riguardanti lo scompenso cardiaco, in particolar modo lo scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata: confermata l’importanza della terapia con glifozine anche in questo gruppo di pazienti (lo studio EMPEROR-Preserved del 2021ha mostrato una riduzione significativa nei pz con FE > 40% dell’endpoint primario morte cardiovascolare ed ospedalizzazione per scompenso); analogia di risultati sulla stessa categoria di pazienti nello studio DELIVER del 2022 Le glifozine (empa e dapaglifozin) sono quindi state inserite in classe IA nell’update delle linee guida presentate all’ultimo congresso ESC ad Amsterdam) sia nei pazienti con scompenso cardiaco a funzione sistolica preservata che lievemente ridotta. È stato presentato lo studio Victoria (5000 pazienti NYHA II, III e IV con FE < 45% sull’uso del vericiguat vs placebo nei pazienti con scompenso in peggioramento (un episodio di riacutizzazione entro 3 mesi); il vericiguat, stimolatore diretto di cGMP, produce riduzione dello stress ossidativo e miglioramento endoteliare e vascolare a livello cardiaco e periferico; lo studio ha mostrato, a 10,8 mesi di FU medio, una significativa riduzione dell’endpoint primario (morte CV ed ospedalizzazione per scompenso). Nell’update linee guida del 2023 l’impiego di vericiguat è in classe 2 B. sono stati citati nell’armamentario terapeutico dello scompenso cardiaco avanzato anche il Patiromer (chelante del potassio: studio Diamond) per il trattamento dell’iperkaliemia nei pazienti con scompenso cardiaco a FE ridotta e la terapia con ferro endovena nei pazienti sintomatici con scompenso cardiaco ed FE ridotta per alleviare i sintomi e migliorare la qualità di vita (classe I A) e per ridurre il rischio di ospedalizzazione (classe 2a A). Le modalità di titolazione dei 4 capisaldi terapeutici dello scompenso cardiaco (ARNI, BB, SGLT2 ed MRA) sono state valutate nello studio Strong-HF (1078 pazienti con scompenso cardiaco acuto); la documentazione di maggiore efficacia della titolazione rapida ed intensiva ha portato ad una modifica delle linee guida in cui compare in classe I A una strategia di titolazione rapida ed intensiva dei farmaci prima della dimissione e nel primo follow-up che porti ad avere in terapia i 4 farmaci al massimo dosaggio tollerato in 6 settimane (senza peraltro un ordine fisso nell’iniziare uno o l’altro farmaco). Relativamente alla terapia ipolipemizzante è stata sottolineata l’importanza di raggiungere prima possibile i target terapeutici di LDL; lo studio EPIC-STEMI ha mostrato che gli inibitori del PCS K9 permettono di raggiungere i livelli target di LDL nella maggior parte dei pazienti a rischio elevato (alirocumab 150 mg somministrato precocemente ha determinato una riduzione del 73% dei livelli di LDL). La strategia step-wise, per quanto razionale, è fortemente limitata nella sua efficacia da aspetti clinici, organizzativi e normativi; Occorre calcolare all’ingresso la distanza dal target (LDL basale- LDL target/LDL basale x 100) e utilizzare il fast-track alla dimissione in modo da garantire una maggiore probabilità di raggiungere i livelli raccomandati di LDL. Molto interessanti le novità introdotte dalle nuove linee guida ESC sulle cardiomiopatie. L’approccio metodologico basato sulla conoscenza e l’uso di red flags cardiache e non cardiache ha determinato un incremento di prevalenza delle cardiomiopatie rispetto a quanto si credeva in passato. La diagnosi eziologica è ormai imprescindibile perche’ la terapia specifica è disponibile in moltissime cardiomiopatie con considerevole impatto sulla prognosi. Viene stressata l’importanza del sospetto clinico (considerare l’ipotesi cardiomiopatia ipertrofica in caso di spessore ventricolare sinistro maggiore o uguale a 15 mm in qualsiasi segmento miocardico non spiegato solamente da condizioni di carico oppure uno spessore ventricolare sinistro di 13-14 mm associato a familiarità, genetica, anomalie ECG). Relativamente alla terapia della cardiomiopatia ipertrofica gli studi di fase III EXPLORER HCM e VALOR HCM hanno documentato gli effetti benefici di mavacanten (primo inibitore diretto della miosina cardiaca), già approvato dagli stati membri dell’unione europea. L’incidenza e prevalenza dell’amiloidosi (soprattutto nelle forme wild-tipe) sono state nettamente incrementate dall’uso di “red flags” (red flags clinici: tunnel carpale bilaterale, stenosi spinale lombare, disfunzione autonomica; red flags ECG: bassi potenziali e pattern tipo “pseudo infarto”, sproporzione tra ispessimento all’ecocardiogramma e bassi potenziali). Alla diagnostica di I livello seguono esami di II livello: RMN cardiaca, scintigrafia ossea e test ematologici per identificare il meccanismo etiopatogenetico. Relativamente alle possibilità terapeutiche oltre alla terapia già in uso (tafamidis, farmaco che stabilizza e blocca il tetramero responsabile della malattia) sono in corso studi con farmaci che sfruttano altri meccanismi d’azione (silenziatori del gene responsabile, oppure agenti che degradano le fibrille di amiloide). Tra questi ultimi il patisiran (acido ribonucleico che degrada specificamente il mRNA della transiretina), testato nello studio di fase 3 Apollo study con risultati promettenti (riduzione dello spessore del setto all’eco, miglioramento del GLS e del rilascio dei biomarkers).