Giuseppe Trisolino Spec. Cardiologia. Segretario Regionale ANCE, Emilia Romagna
I farmaci antiaritmici tradizionali presentano notevoli limiti di efficacia e sicurezza per cui nuove strategie terapeutiche farmacologiche appaiono necessarie nel paziente con malattia aritmica. Vi è stato un periodo particolarmente vivace, tra gli anni ‘70 e ‘80, per lo sviluppo e disponibilità di farmaci antiaritmici potenzialmente utili alla soppressione delle aritmie soprattutto ventricolari. All’inizio degli anni ‘90 veniva pubblicato, però, il CAST (The Cardiac Arrhythmia Suppression Trial), che mostrando una mortalità significativamente più elevata nei pazienti trattati con encainide o flecainide rispetto al placebo, nel trattamento dei battiti ectopici ventricolari (BEV) nella cardiopatia postinfartuale, faceva spostare l’attenzione degli aritmologi dalla prevenzione della morte aritmica improvvisa al trattamento della aritmia sopraventricolare più diffusa quale la fibrillazione atriale (FA). Già a partire dalla metà degli anni 70 si era diffuso l’uso dell’Amiodarone come antiaritmico anche per le aritmie sopraventricolari. Il farmaco, inizialmente classificato come antiaritmico di classe III, agendo sulle correnti del calcio, del sodio e del potassio mostra caratteristiche farmacologiche anche di classe I, II e IV. L’osservazione dei possibili gravi effetti collaterali multisistemici, tiroide e polmoni, rendeva però la Food and Drug Administration (FDA) estremamente restia ad approvarne l’uso, in cronico, che arrivava solamente nel 1985. Va ricordato, anche, che l’approvazione veniva concessa nonostante l’assenza di grandi trials clinici randomizzati. Nelle LG ESC 2016 sulla FA si sottolinea che l’Amiodarone può essere utile, in cronico (II B), per il controllo della risposta ventricolare come ultima risorsa. Gli effetti avversi extracardiaci lo rende un agente di riserva nei pazienti la cui frequenza cardiaca non può essere controllata con la terapia combinata (beta bloccante/verapamil/diltiazem + digossina). Nei Pazienti critici e in quelli con funzione sistolica severamente depressa, l’Amiodarone per via endovenosa può essere usato quando l’elevata frequenza cardiaca rischia di compromettere la stabilità emodinamica. Dagli anni ’90 farmaci della classe 1 C come Flecainide, Propafenone, Dofetilide sono stati testati per via venosa e immessi nelle linee guida per l’interruzione della FA. In anni successivi la mancata approvazione, per la rapida conversione della FA di recente insorgenza, di due molecole di classe III, tedisamil e vernakalant da parte della FDA e le preoccupazioni sulla sicurezza del dronedarone [ANDROMADA- N Engl J Med, 2008, PALLAS- N Engl J Med, 2011], farmaco con meccanismo d’azione su più canali ionici ed effetti antiadrenergici, hanno avuto un effetto paralizzante sullo sviluppo di nuovi antiaritmici per la patologia antiaritmica sopraventricolare. Solo ora, dopo una lunga pausa, pare esserci spazio per la ricerca di nuovi farmaci sicuri ed efficaci da proporre per l’interruzione della FA acuta e sintomatica. Sono in fase di sviluppo clinico, infatti, un bloccante multi-ione, HBI-3000 che esercita i suoi effetti sul cuore inibendo più canali ionici (INa-F, INa-L, ICa-L e IKr), sopprime le post-depolarizzazioni precoci con un basso rischio proaritmico. Tuttavia non solo la riconversione rapida della FA rimane un obiettivo ambizioso e perseguibile, ma anche il mantenimento del ritmo sinusale che necessita di terapia cronica con un elevato profilo di sicurezza. Uno dei regimi più efficaci e interessanti appare concettualmente la combinazione di dronedarone con la ranolazina, un bloccante relativamente selettivo della corrente tardiva del sodio. Nello studio Harmony (Circulation, 2015) la terapia combinata di Ranolazina e Dronedarone a basso dosaggio aveva determinato riduzioni del burden della FA, tuttavia lo sviluppo dell’associazione non è andata avanti per il controverso profilo di sicurezza del Dronedarone. Si attendono, ancora, i risultati di studi clinici su farmaci antiaritmici che inibiscono i cosiddetti canali SK attivati dall’aumento di Ca 2+ intracellulare che sembrano costituire un obiettivo “specifico atriale” con un basso rischio di effetti avversi ventricolari. Il blocco di questi canali ionici, con una molecola selettiva, pare costituire un nuovo e promettente target di sviluppo di trattamento della FA in fase acuta e nella prevenzione di recidive. Non solo lo sviluppo di farmaci utili nel trattamento della FA ha segnato il passo, ma anche e soprattutto la ricerca di nuovi farmaci antiaritmici utili nelle aritmie ventricolari, soprattutto dopo la pubblicazione del CAST. Esiste a tutt’oggi una necessità clinica insoddisfatta, quella di trovare una terapia adiuvante per i pazienti portatori di ICD, una terapia farmacologica, cioè, in grado di sopprimere le aritmie che possono innescare shock inappropriati. L’Amiodarone, che vanta due proprietà importanti quali il minimo effetto inotropo negativo e la bassa frequenza di effetti proaritmici, è comunemente usato in pazienti con significative malattie cardiache strutturali. In studi clinici controllati, l’associazione Amiodarone e beta-bloccante è apparsa più efficace nel prevenire gli shock in portatori di ICD, ma tale associazione è risultata gravata da un aumentato il rischio di effetti collaterali severi soprattutto relati all’Amiodarone. Anche l’Azimilide, antiaritmico di classe III, che blocca le componenti rapide (IKr) e lente (IKs) della corrente del potassio e prolunga la refrattarietà cardiaca abbassando la soglia di defibrillazione, si era dimostrato promettente come farmaco efficace nel ridurre gli shock nei pazienti con ICD (SHIELD –The American Journal of Cardiology, 2005). Tuttavia lo sviluppo della molecola si è interrotta per motivi commerciali. I bloccanti della corrente tardiva del sodio, Ranolazina ed Eleclazina, non sono riusciti a raggiungere i loro endpoint di efficacia primaria in studi ICD. L’Eleclazina, accorciando l’intervallo QT e diminuendo la dispersione spazio-temporale di ripolarizzazione, aveva dimostrato, in una sperimentazione clinica, una riduzione statisticamente significativa dell’intervallo QTc in pazienti con Sindrome del QT lungo di tipo 3 (LQT3). Oggi, però, forse ancor più incoraggiante appare l’emergere di nuovi metodi di somministrazione di farmaci “vecchi”. Il Sotalolo, farmaco in grado di bloccare il canale del potassio agendo come antiaritmico di classe III, è stato approvato e raccomandato per uso parenterale nel 2015 dalle linee guida dell’AHA per il trattamento delle aritmie complesse. Può essere utilizzato nella fibrillazione atriale dopo chirurgia cardiaca, nel trattamento di aritmie ventricolari e sopraventricolari soprattutto in situazioni di emergenza. La ricerca sta sviluppando, anche, la possibilità di somministrazione di Amiodarone mediante cerotti cuciti sull’epicardio con l’indicazione della prevenzione della FA dopo un intervento cardiaco. Interessante appare la sperimentalmente della somministrazione della tossina botulinica nei cuscinetti adiposi epicardici. La tossina botulinica può essere ritenuta un neuromodulatore e potrebbe indurre una forma di rimodellamento autonomico inverso. Pazienti che hanno ricevuto una iniezione di tossina botulinica nei cuscinetti adiposi epicardici durante il bypass coronarico hanno presentato una incidenza più bassa di tachiaritmie atriali e un ridotto burden di FA a 3 anni, rispetto al placebo (Heart Rhythm Society Annual Scientific Sessions, 2018). Sembrano esserci all’orizzonte anche modalità di somministrazione per via nasale del verapamil e della flecainide per il trattamento della FA. In definitiva è probabile che sia l’entusiasmo verso la terapia ablativa della FA, metodica che aumenta le aspettative del paziente, ma che richiede farmaci più efficaci e sicuri in cronico quando l’aritmia si ripresenta, che il credere che una migliore programmazione dell’ICD potesse ridurre l’incidenza di shock inappropriati da non rendere necessaria terapia farmacologica, abbia smorzato in passato lo sviluppo di nuovi farmaci antiaritmici. C’è motivo di credere e sperare che, in un futuro non troppo lontano, ci possano essere migliori opzioni terapeutiche per i pazienti con malattia aritmica.
Riferimenti
- Debra S. et al Mortality and Morbidity in Patients Receiving Encainide, Flecainide, or Placebo-The Cardiac Arrhythmia Suppression Trial. N Engl J Med 1991; 324:781-788
- Rosenbaum MB et al. Clinical efficacy of amiodarone as an antiarrhythmic agent. Am J Cardiol.1976 Dec;38(7):934-44.
- 2016 ESC Guidelines for the management of atrial fibrillation developed in collaboration with EACTS. European Heart Journal (2016) 37, 2893–2962
- Lars Køber, M.D et al. Increased Mortality after Dronedarone Therapy for Severe Heart Failure N Engl J Med 2008; 358:2678-2687
- Naccarelli, GV, Kowey, PR. The role of dronedarone in the treatment of atrial fibrillation/flutter in the aftermath of PALLAS. Curr Cardiol Rev. 2014;10:303–308
- Burashnikov, A, Sicouri, S, Di Diego, JM, Belardinelli, L, Antzelevitch, C. Synergistic effect of the combination of ranolazine and dronedarone to suppress atrial fibrillation. J Am Coll Cardiol. 2010;56:1216–1224
- Robinson VM et al. Results of a curtailed randomized controlled trial, evaluating the efficacy and safety of azimilide in patients with implantable cardioverter-defibrillators: the SHIELD-2 trial. Am Heart J. 2017;185:43–51
- Zareba W et al. Ranolazine in high-risk patients with implanted cardioverter-defibrillators: the RAID trial. J Am Coll Cardiol. 2018;72:636–645
- Lei M et al. Modernized classification of cardiac antiarrhythmic drugs. Circulation 2018;138:1879–1896.
- Stuart J. Et al. Comparison of β-Blockers, Amiodarone Plus β-Blockers, or Sotalol for Prevention of Shocks From Implantable Cardioverter Defibrillators The OPTIC Study: A Randomized Trial. JAMA. 2006;295:165-171
- Peter R. Kowey et al. The Relentless Pursuit of New Drugs to Treat cardiac Arrhythmias Circulation Volume 141, Issue 19, 12 May 2020; Pages 1507-1509
UPDATE cardiologia 2023
Gianluca Belletti
Responsabile Servizio di Cardiologia Unità Operativa Polispecialistica Ravenna 33
Questo è stato un anno di importanti novità, studi clinici, spunti di riflessione su tematiche che spaziano dalla cardiopatia ischemica, alle cardiomiopatie, alle valvulopatie, all’elettrofisiologia e sono state presentate al recente congresso europeo di Amsterdam nuove linee guida (diabete, sindrome coronarica acuta, endocardite infettiva, cardiomiopatie). Riguardo l’endocardite infettiva ad esempio, se non ci sono state novità (rispetto alle precedenti, in merito ai fattori di rischio cardiaci
(pregressa endocardite, valvulopatie, protesi valvolari, presenza di cateteri arteriosi o centrali) e non cardiaci (immunosoppressione, pazienti tossicodipendenti che si iniettano droghe, recenti procedure odontoiatiche o chirurgia, ospedalizzazioni o emodialisi), sono stati revisionati e schematizzati i criteri maggiori di diagnosi di laboratorio di endocardite quale il riscontro di lesioni valvolari, perivalvolari, periprotesiche (vegetazioni) mediante una delle seguenti metodiche di imaging (ecocardiogramma transtoracico, EcoTE, Tac cardiaca, Tac Pet). Una delle novità più importanti è sicuramente la possibilità di passare alla terapia endovena e orale a domicilio dopo 10 giorni di terapia endovena ospedaliera, previa esecuzione di ecocardiogramma transesofageo. Tale passaggio si può effettuare solo se il paziente è clinicamente stabile e se vi è a casa un’assistenza idonea. In merito al trattamento chirurgico, le nuove LG rimane in classe 1 A l’intervento in emergenza /urgenza dell’endocardite su valvola nativa o protesica con insufficienza valvolare acuta in caso di shock cardiogeno o edema polmonare. L’intervento chirurgico urgente è anche raccomandato (I B) in caso di infezioni non controllate ed in caso di endocarditi con vegetazioni persistenti più grandi di 10 mm, dopo 1 o più episodi embolici nonostante appropriata terapia antibiotica. Tema su cui si dibatte e mai completamente risolto è quello delle ostruzioni coronariche croniche, condizione che coinvolge fino al 10% degli infarti miocardici ST sopralivellato e fino al 18% delle coronarografie). Tale condizione impatta significativamente in negativo sulla prognosi fin da subito, come dimostra il registro, pubblicato quest’anno comprendente 12928 pazienti sottoposti a PTCA di ostruzioni croniche. I concetti che devono guidare la decisione di procedere a rivascolarizzazione sono la presenza di ischemia, la funzione sistolica del ventricolo sinistro e l’eventuale riduzione del rischio aritmico derivante dal ripristinare il flusso in quella determinata area miocardica. Gli studi randomizzati esistenti non hanno concluso nulla (verosimilmente perché studi con un numero di pazienti limitato, basso potere statistico e con alta percentuale di cross-over tra PTCA e terapia medica). In conclusione, la rivascolarizzazione di un’ostruzione cronica deve essere guidata dai sintomi e nel caso eseguita da operatori esperti. Altro argomento su cui in questo anno si è discusso molto è la consulenza cardiologica nella chirurgia non cardiaca. A partire dalle LG del 2022 è stata sottolineata l’importanza del calcolo del rischio di eventi cardiovascolari utilizzando una serie di scores: il più utilizzato dei quali è il Lee Cardiac risk score. Molto interessanti sono la possibilità di predire eventi cardiovascolari con l’esecuzione di coroTC prima di un intervento chirurgico, il valore prognostico di un incremento dei valori di troponina nel post-operatorio e gli effetti favorevoli di un trattamento personalizzato e potenziato dell’ipertensione arteriosa. Riguardo alla gestione della duplice terapia antiaggregante in paziente con recente IMA e stent, se vi è un alto rischio trombotico e/o è trascorso meno 1 mese dalla PTCA o meno di tre mesi dall’IMA (in presenza di alto rischio emorragico), se possibile si rinvia l’intervento chirurgico altrimenti le linee guida consentono l’impiego di cangrelor (inibitore P2Y12 endovena). A proposito di fibrillazione atriale quest’anno ci si è soffermati sull’inquadramento diagnostico che non può prescindere da una completa ed accurata ecocardiografia (speckle tracking ed eco 3 D) per definire anatomia, geometria e funzione dell’atrio e del ventricolo sinistro e per identificare le cause della fibrillazione atriale stessa. Ciò poiché i pazienti con ridotta funzione atriale sinistra hanno una più alta percentuale di fibrosi e rimodellamento, più alto rischio di eventi cardioembolici, più elevata possibilità di sviluppare fibrillazione atriale dopo un intervento cardiochirurgico e più elevata possibilità di recidiva dopo ablazione o cardioversione. Nelle linee guida del 2020, l’ablazione della fibrillazione atriale persistente o parossistica (paziente sintomatico) è in classe 2A, in classe I in caso di insuccesso della terapia medica, segni di scompenso cardiaco ed FE ridotta. Lo studio Castle-AF ha documentato un significativo vantaggio clinico dell’ablazione nei pazienti con scompenso cardiaco con riduzione sia dei ricoveri per peggioramento dello scompenso e che della mortalità per tutte le cause e sta per essere pubblicato su JACC uno studio su 2000 pazienti che mette in evidenza che i risultati, in termini prognostici, dell’ablazione si hanno se la stessa viene effettuata prima possibile entro i primi 3 anni dalla diagnosi. È stato sottolineato e confermato che è essenziale la profilassi degli eventi trombotici con terapia anticoagulante (preferibilmente NOAC) nei pazienti con fibrillazione atriale ed elevato rischio embolico, includendo anche il paziente anziano e fragile (come mostrano diversi registri, l’ultimo dei quali l ETNA-AF per edoxaban). La chiusura percutanea dell’auricola di sinistra è attualmente una procedura disponibile, consolidata e sicura in mani esperte, per ridurre il rischio di ictus nei pazienti con controindicazione alla terapia anticoagulante ad elevato rischio emorragico. È ormai riconosciuta la possibilità di identificare episodi più o meno prolungati di aritmie con dispositivi elettronici (tipo Apple Watch), capacità che in precedenza veniva riconosciuta solo ai device (PM e AICD). Tra le novità troviamo anche la definizione del rischio cardioembolico degli AHRE (episodi di tachiaritmia atriale con frequenza maggiore di 190/min); nel 2023 è stato pubblicato lo studio NOAH-AFNET 6 che ha randomizzato 2500 pazienti con AHRE ad edoxaban o placebo. Età media elevata, CHADS 2 VASC medio di 4, endpoint di stroke e morte cardiovascolare. Lo studio è stato interrotto prematuramente per futilità: nessuna differenza significativa riguardo gli endpoint primari e un trend di incremento dei sanguinamenti. Molto importanti le novità riguardanti lo scompenso cardiaco, in particolar modo lo scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata: confermata l’importanza della terapia con glifozine anche in questo gruppo di pazienti (lo studio EMPEROR-Preserved del 2021ha mostrato una riduzione significativa nei pz con FE > 40% dell’endpoint primario morte cardiovascolare ed ospedalizzazione per scompenso); analogia di risultati sulla stessa categoria di pazienti nello studio DELIVER del 2022 Le glifozine (empa e dapaglifozin) sono quindi state inserite in classe IA nell’update delle linee guida presentate all’ultimo congresso ESC ad Amsterdam) sia nei pazienti con scompenso cardiaco a funzione sistolica preservata che lievemente ridotta. È stato presentato lo studio Victoria (5000 pazienti NYHA II, III e IV con FE < 45% sull’uso del vericiguat vs placebo nei pazienti con scompenso in peggioramento (un episodio di riacutizzazione entro 3 mesi); il vericiguat, stimolatore diretto di cGMP, produce riduzione dello stress ossidativo e miglioramento endoteliare e vascolare a livello cardiaco e periferico; lo studio ha mostrato, a 10,8 mesi di FU medio, una significativa riduzione dell’endpoint primario (morte CV ed ospedalizzazione per scompenso). Nell’update linee guida del 2023 l’impiego di vericiguat è in classe 2 B. sono stati citati nell’armamentario terapeutico dello scompenso cardiaco avanzato anche il Patiromer (chelante del potassio: studio Diamond) per il trattamento dell’iperkaliemia nei pazienti con scompenso cardiaco a FE ridotta e la terapia con ferro endovena nei pazienti sintomatici con scompenso cardiaco ed FE ridotta per alleviare i sintomi e migliorare la qualità di vita (classe I A) e per ridurre il rischio di ospedalizzazione (classe 2a A). Le modalità di titolazione dei 4 capisaldi terapeutici dello scompenso cardiaco (ARNI, BB, SGLT2 ed MRA) sono state valutate nello studio Strong-HF (1078 pazienti con scompenso cardiaco acuto); la documentazione di maggiore efficacia della titolazione rapida ed intensiva ha portato ad una modifica delle linee guida in cui compare in classe I A una strategia di titolazione rapida ed intensiva dei farmaci prima della dimissione e nel primo follow-up che porti ad avere in terapia i 4 farmaci al massimo dosaggio tollerato in 6 settimane (senza peraltro un ordine fisso nell’iniziare uno o l’altro farmaco). Relativamente alla terapia ipolipemizzante è stata sottolineata l’importanza di raggiungere prima possibile i target terapeutici di LDL; lo studio EPIC-STEMI ha mostrato che gli inibitori del PCS K9 permettono di raggiungere i livelli target di LDL nella maggior parte dei pazienti a rischio elevato (alirocumab 150 mg somministrato precocemente ha determinato una riduzione del 73% dei livelli di LDL). La strategia step-wise, per quanto razionale, è fortemente limitata nella sua efficacia da aspetti clinici, organizzativi e normativi; Occorre calcolare all’ingresso la distanza dal target (LDL basale- LDL target/LDL basale x 100) e utilizzare il fast-track alla dimissione in modo da garantire una maggiore probabilità di raggiungere i livelli raccomandati di LDL. Molto interessanti le novità introdotte dalle nuove linee guida ESC sulle cardiomiopatie. L’approccio metodologico basato sulla conoscenza e l’uso di red flags cardiache e non cardiache ha determinato un incremento di prevalenza delle cardiomiopatie rispetto a quanto si credeva in passato. La diagnosi eziologica è ormai imprescindibile perche’ la terapia specifica è disponibile in moltissime cardiomiopatie con considerevole impatto sulla prognosi. Viene stressata l’importanza del sospetto clinico (considerare l’ipotesi cardiomiopatia ipertrofica in caso di spessore ventricolare sinistro maggiore o uguale a 15 mm in qualsiasi segmento miocardico non spiegato solamente da condizioni di carico oppure uno spessore ventricolare sinistro di 13-14 mm associato a familiarità, genetica, anomalie ECG). Relativamente alla terapia della cardiomiopatia ipertrofica gli studi di fase III EXPLORER HCM e VALOR HCM hanno documentato gli effetti benefici di mavacanten (primo inibitore diretto della miosina cardiaca), già approvato dagli stati membri dell’unione europea. L’incidenza e prevalenza dell’amiloidosi (soprattutto nelle forme wild-tipe) sono state nettamente incrementate dall’uso di “red flags” (red flags clinici: tunnel carpale bilaterale, stenosi spinale lombare, disfunzione autonomica; red flags ECG: bassi potenziali e pattern tipo “pseudo infarto”, sproporzione tra ispessimento all’ecocardiogramma e bassi potenziali). Alla diagnostica di I livello seguono esami di II livello: RMN cardiaca, scintigrafia ossea e test ematologici per identificare il meccanismo etiopatogenetico. Relativamente alle possibilità terapeutiche oltre alla terapia già in uso (tafamidis, farmaco che stabilizza e blocca il tetramero responsabile della malattia) sono in corso studi con farmaci che sfruttano altri meccanismi d’azione (silenziatori del gene responsabile, oppure agenti che degradano le fibrille di amiloide). Tra questi ultimi il patisiran (acido ribonucleico che degrada specificamente il mRNA della transiretina), testato nello studio di fase 3 Apollo study con risultati promettenti (riduzione dello spessore del setto all’eco, miglioramento del GLS e del rilascio dei biomarkers).