Innovazioni in Cardiologia – Congresso Provinciale ANCE Brindisi 2019

G. De Benedittis – Consigliere nazionale ANCE

L’incantevole Sala Consiliare della Residenza Municipale di Francavilla Fontana (BR) ha fatto da cornice, l’11 maggio scorso, al Congresso Provinciale ANCE Brindisi 2019, “Innovazioni in Cardiologia”, organizzato da Tony Dadamo, Segretario Provinciale ANCE Brindisi e da Vito Gallone, Primario della U.O. C di Cardiologia del P.O. “Dario Camberlingo” di Francavilla Fontana (BR).

La notevole partecipazione di pubblico e l’ottimo livello delle relazioni hanno assicurato il successo dell’evento.Due le sessioni della giornata: nella prima, moderata da Gianfranco Ignone, Antonio Gaglione e Giovanni Carlà sono stati affrontati 3 temi di grande interesse:

“Scompenso cardiaco ed ipertensione arteriosa”, presentata da Elvira Bruno, che ha descritto come dalla cardiopatia ipertensiva, di comunissimo riscontro nella nostra pratica clinica quotidiana, si possa passare nel continuum cardiovascolare allo scompenso cardiaco, patologica in crescita, che richiede grande impegno di risorse umane, professionali ed economiche. Rifacendosi alle Linee Guida ESC dell’Ipertensione 2018, sono stati analizzati i criteri di diagnosi di ipertrofia ventricolare sinistra elettrocardiografici prima (molto pratico il criterio R in AVL > 11 mm) e poi anche ecocardiografici (massa e geometria del ventricolo sinistro, dimensioni dell’atrio sinistro, funzione ventricolare sinistra sistolica e diastolica, valutazione indiretta delle pressioni di riempimento del ventricolo sinistro, dimensioni dell’aorta in tutti i tratti esplorabili). Particolare attenzione è stata posta sull’importanza di una precoce individuazione del danno d’organo e di un’adeguata terapia farmacologica e non, che assicuri la regressione del danno e ne eviti la progressione, spesso dovuta a una pessima aderenza e, talvolta, anche all’inerzia terapeutica di noi medici.

 Con“Focus on su sindromi coronariche e fattori di rischio cardiovascolari”, Rinaldo Giaccari ha puntualizzato che le SCA sono uno spettro di condizioni cliniche che riconosce meccanismi fisiopatologici diversi. Mentre per  lo STEMI è riconosciuto un preciso substrato fisiopatologico e la terapia è ormai codificata, per il N-STEMI, che ha una mortalità intraospedaliera inferiore ma maggiore ad un anno, è necessario stratificare meglio il rischio del singolo paziente.  Questo perché la malattia coronarica è in genere più estesa, l’età è più avanzata, coesiste un’arteropatia più diffusa e comorbilità come DM e IRC. Il decorso clinico è complicato più frequentemente da REIMA non fatale, angina instabile, riospedalizzazione per tutte le cause, scompenso cardiaco post-infartuale, che è un forte predittore di mortalità a distanza. La diagnosi, perciò, deve essere precoce e precisa al fine di identificare il trattamento più appropriato e soprattutto il timing adeguato per la coronarografia (entro 2 ore per i soggetti a rischio molto alto, entro 24 h se il rischio è alto, entro 72 ore, se il rischio è intermedio), perché il beneficio in termini di sopravvivenza della strategia invasiva precoce è più pronunciato nei sottogruppi a rischio più alto. L’attento studio delle modificazioni ECG è importante: la depressione isolata del tratto ST ≥ 0,5 mm nelle derivazioni V 1 -V 3 può indicare occlusione Cx, quando insieme ad AVR il sopralivellamento di ST interessa anche AVL, la diagnosi di stenosi critica del Tc è praticamente certa, un sottoslivellamento di ST in > 7 derivazioni indica una malattia multivasale. Attenzione al De Winter ECG pattern, STEMI anteriore equivalente, che si presenta senza elevazione del tratto ST ma con sottoslivellamento di ST in V1-V6 e onde T appuntite, a distacco brusco, nelle derivazioni precordiali, presente nel 2% delle occlusioni acute dell’IVA prossimale.Il mancato riconoscimento di questo pattern elettrocardiografico è una delle principali cause di mancata attivazione del Cat Lab e della mancata terapia medica….con importante impatto sulla mortalità. L’inversione delle onde T deve avere caratteristiche specifiche: profondità di almeno  1 mm, presenti in ≥ 2  derivazioni contigue con R dominante (R/S ratio > 1). La stratificazione del rischio è un processo dinamico: parametri clinici (Biomarkatori, ischemia residua all’ECG e cambiamenti emodinamici) o score di rischio (Grace o Syntax) impongono la scelta ed il tipo di rivascolarizzazione. Alla dimissione è utile indicare tra i FR, i predittori di SC e Mortalità, come la EF, importante aumento del BNP, uso di diuretici, classe Killip e i predittori di recidive ischemiche, come arteropatia periferica, pregresso ictus, TIA, IMA o angina, diabete mellito, malattia coronarica multivasale, rivascolarizzarione incompleta o mancata. Successivamente alla dimissione (almeno a 6 e 12 mesi) è importante l’ulteriore rivalutazione del rischio ischemico/emorragico per il prolungamento della DAPT e/o l’aggiunta del NAOc e la esecuzione di esami appropriati.L’impianto di DES di nuova generazione è la strategia di trattamento standard anche quando la DAPT non può essere sostenuta oltre 1 mese dopo l’intervento e l’approccio radiale è diventato anche lo standard di cura. La DAPT è raccomandata per 12 mesi indipendentemente dal tipo di stent, mentre nei pazienti ad alto rischio emorragico (Precise DAPD score > 25), la DAPT può essere ridotta a 6 mesi. Per i pazienti ad alto rischio, dopo la fase acuta, dovrebbe essere considerato un percorso riabilitativo. Il follow-up strumentale del paziente stabile dopo SCA non può essere prestabilito, ma dipende da una accurata valutazione clinica che tenga conto di volta in volta del profilo di rischio dopo la fase acuta e di eventuali variazioni del quadro clinico nel contesto di un attento controllo dei FR, della aderenza ai trattamenti farmacologici raccomandati ed allo stile di vita appropriato. In particolare la ripetizione del test da sforzo non è appropriata prima dei due anni, dopo PTCA, e prima di 5 anni dopo bypass aortocoronarico, se non ci sono modificazioni cliniche, purchè la rivascolarizzazione sia stata completa.

Con la relazione “Aspirina e Cancro” Elvira Bruno ha sottolineato come oltre alle indicazioni classiche all’uso dell’ASA a basse dosi (prevenzione secondaria degli eventi atero-trombotici maggiori: dopo infarto del miocardio,  dopo ictus cerebrale o attacchi ischemici transitori (TIA),  in pazienti con angina pectoris instabile,  in pazienti con angina pectoris stabile cronica, prevenzione della riocclusione dei by-pass aorto-coronarici e  nell’angioplastica coronarica percutanea transluminale (PTCA), prevenzione degli eventi cardiovascolari nei pazienti con malattia ateromasica conclamata, nella sindrome di Kawasaki, nei pazienti in emodialisi e nella prevenzione della trombosi durante circolazione extracorporea,  e prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari in pazienti ad elevato rischio (rischio a 10 anni>20% in base al progetto cuore dell’Istituto Superiore di Sanità), l’utilizzo di aspirina in prevenzione primaria sia, oggi, associato alla riduzione di mortalità per cancro e alla riduzione dell’incidenza di alcuni tipi di cancro (esofago, stomaco, colon retto, polmone e più recentemente prostata, ovaio e fegato).

In una metanalisi di 5 studi clinici, in pazienti che hanno avuto diagnosi di cancro l’aspirina ha dimostrato di ridurre la formazione di metastasi a distanza sia su sedi definite che non (- 36%), già a breve tempo dalla randomizzazione

Uno studio giapponese ha dimostrato che in pazienti con cancro al colon-retto, chi aveva una mutazione nel gene PIK3CA e utilizzava ASA, presentava una maggiore sopravvivenza rispetto a chi non aveva il gene mutato e a chi aveva la mutazione ma non usava ASA. Sembrerebbe che ASA funzioni da marker genetico che può aiutare a capire quali tipi di cancro o quali pazienti trattare. La differenza di mortalità arrivava all’80%.

Il beneficio di ASA non è correlato ad una diagnosi precoce dovuta ad aumento dei sanguinamenti: facendo un confronto ASA-WARFARIN (che fa sanguinare di più), si vede che il secondo non ha effetto sulla riduzione di mortalità. Nel Luglio scorso sulla Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato, perciò, l’aggiornamento dell’RCP di Cardioaspirin, che riguarda il punto 5.1, proprietà farmacologiche: meccanismo d’azione ed efficacia clinica, che considerano i risultati sul cancro nella popolazione cardiovascolare studiata. Il meccanismo d’azione ipotizzato coinvolge le piastrine richiamate nella lesione cancerosa, attivate,  rilasciano fattori che stimolano le cellule endoteliali e stromali a produrre COX2. La COX2 innesca un meccanismo che porta all’aumento dell’angiogenesi e della proliferazione cellulare e la riduzione dell’apoptosi. ASA a basse dosi inibisce tutto il meccanismo a monte.

Studi sul beneficio aggiuntivo in pazienti in trattamento con ASA per la prevenzione cardiovascolare hanno dimostrato una riduzione di mortalità per cancro del 36%, a partire dal quinto anno di trattamento ed una riduzione dell’ incidenza di cancro del 24%, a partire dal terzo anno di trattamento.

Un recente documento di consenso del gruppo trombosi dell’ESC fa il punto sulla prevenzione e considera i risultati sul cancro: chi ha un rischio cardiovascolare oltre il 20% e non ha alto rischio di sanguinamento, deve fare prevenzione con ASA. Chi ha un rischio cardiovascolare tra il 10 e il 20% e non ha alto rischio di sanguinamento, può fare prevenzione con ASA, se ha anche familiarità con cancro GI, specialmente al colon.

Il documento di consenso SIMG-FADOI-AMD raccomanda di considerare ASA in prevenzione nei soggetti a rischio cardiovascolare moderato e basso rischio emorragico, se sono presenti fattori di rischio non considerati dal Progetto Cuore o familiarità per cancro.

Oggi il medico deve, quindi, considerare i dati sul cancro ed aggiungere il rischio oncologico (età, genere, fumo, storia familiare, lesioni precancerose, sindromi genetiche, abitudini dietetiche e stile di vita, infezioni cancro correlate, esposizione ad infezioni) al rischio cardiovascolare, confrontandoli con il rischio di sanguinamento, quando deve decidere se utilizzare il farmaco in prevenzione primaria.

 

Nella II Sessione,  moderata da Luigi Giuncato, Vito Gallone e Gianfranco Ignone,

Andrea Spampinato ha affrontato il tema della “Terapia elettrica dello scompenso cardiaco”, mettendo in evidenza come lo scompenso cardiaco rappresenti oggi uno dei maggiori problemi di salute pubblica dei paesi industrializzati e come tutti i trials sulla terapia di resincronizzazione cardiaca, evidenzino un beneficio clinico in termini di miglioramento della classe funzionale, qualità di vita, capacità di esercizio , frazione di eiezione del ventricolo sinistro e soprattutto diminuzione della mortalità.Tale miglioramento della contrattilità ventricolare avviene grazie ai seguenti meccanismi d’azione della stimolazione biventricolare: riduzione della durata del QRS (perchè il QRS largo nei pazienti con SCC è un fattore prognostico negativo); annullamento del ritardo di attivazione dei segmenti postero-laterali del ventricolo sinistro; riduzione del movimento paradosso del setto interventricolare; miglioramento del movimento parietale del ventricolo sinistro, riduzione del diametro telediastolico del ventricolo sinistro: rimodellamento inverso, miglioramento del sincronismo contrattile fra i due muscoli papillari con riduzione del rigurgito mitralico;miglioramento del dP/dt del VS. E’ acclarato che la stimolazione biventricolare risulti efficace, se assicura un pacing costante con stimolazione simultanea del RV e LV, con un ritardo A-V fissato a 100-120 msec, con l’elettrodo ventricolare sinistro in una vena postero-laterale. L’ottimizzazione dell’intervallo A-V, automatico o con eco, tuttavia, non sembra avere incidenza significativa sui non responders, che hanno spesso una cicatrice più ampia, un avanzato scompenso cardiaco e maggiori comorbilità. Inoltre, dagli studi clinici parrebbe avere degli effetti limitati sugli outcomes clinici ed ecocardiografici. La fibrillazione atriale non controindica la CRT, se la FC non può essere controllata farmacologicamente, si procede prima all’ablazione del nodo AV. Per quanto riguarda i pazienti portatori di PM definitivo, l’upgrade a CRT è associato ad una alta frequenza di complicanze, perciò tale decisione dovrebbe essere presa solo dopo attenta valutazione del rapporto rischio-beneficio. Quando associare l’ICD alla CRT non è ben chiaro dalle LG, che non tengono nel giusto conto le preferenze del paziente, l’assenza di criteri ottimali di stratificazione e l’insufficienza di dati su qualità di vita, risultati riguardanti donne e anziani.

 

Con la relazione “Focus sull’ablazione e DOACs” Massimo Grimaldi ha voluto chiarire che l’ablazione di FA è come l’acrobata sul filo che può cadere a destra (rischio trombotico) o a sinistra (rischio emorragico). Tamponamento, fistola atrio-esofagea, stroke e MI sono le più comuni complicanze fatali della procedura. Uno studio, pubblicato nel 2014 su Circulation, da De Biase, ha dimostrato che l’incidenza di eventi tromboembolici periprocedurali e complicanze emorragiche era maggiore nel gruppo di pazienti che sospendevano Warfarin.

Perciò le LG ESC sul trattamento della FA del 2016 consigliano di non interromperlo durante ablazione, mantenendo l’INR tra 2 e 3. I NOAC hanno recentemente dimostrato superiorità rispetto al Warfarin anche in questo setting. Nel 2014 è stato pubblicato lo studio VENTURE-AF, che testava il Rivaroxaban rispetto a  Warfarin dimostrando la superiorità del NOAC nella riduzione del eventi (morte, stroke ischemico, sanguinamenti maggiori). Nel 2017 è stato pubblicato sul N Engl J Med. il RE-CIRCUIT, uno studio che confrontava Dabigatran vs Warfarin nell’ablazione di FA, che ha dimostrato la scarsa incidenza di eventi trombotici nei 2 gruppi ma una  significativa ridotta incidenza di eventi emorragici maggiori nel gruppo trattato con Dabigatran. Lo studio con Apixaban, AXAFA-NET 5, è stato pubblicato nel 2018 su Eur Heart J.  ha mostrato la non inferiorità dell’Apixaban sull’end point composito principale (morte per tutte le cause, stroke o sanguinamenti maggiori) ma una minore incidenza di lesioni ischemiche, dimostrate con la RMN, nel gruppo trattato Apixaban vs Warfarin. Anche nell’ultimo trial pubblicato nel 2019 su Eur Heart J. ,l’ELIMINATE AF sono state studiate le lesioni cerebrali silenti con la RMN. Il trattamento con Edoxaban a 60 mg è stato confrontato con Warfarin (INR tra 2 e 3) ed è stata dimostrata una bassa incidenza di eventi tromboembolici ed emorragici nei 2 gruppi con differenze non statisticamente significative. L’incidenza di eventi emorragici maggiori con Edoxaban 60 mg è risultata simile a quella osservata con Dabigatran nel RE-CIRCUIT trial e con Apixaban nell’AXAFA. Invece il gruppo trattato con Warfarin ha mostrato un’incidenza minore di sanguinamenti rispetto a quanto osservato nei gruppi Warfarin dello studio RE-CIRCUIT e AXAFA, perché il controllo dell’INR è stato eccellente.  La maggior parte degli eventi emorragici si è verificata durante la procedura d’ablazione o nelle 48 ore successive, probabilmente a causa di una più alta dose di eparina non frazionata nei pazienti trattati con Edoxaban.

Infine, in un editoriale pubblicato nel 2019 su Eur Heart J. vengono fornite indicazioni su cosa fare prima dell’ablazione (decidere sull’anticoagulazione in base al CHADS2-VASC score, non interrompere il Warfarin, il DOAC va assunto per 3 settimane prima fino a 24 ore), durante l’ablazione (ottimizzare i trattamenti e minimizzare i cambiamenti) e dopo (verificare l’aderenza a lungo termine del trattamento anticoagulante, in base al CHADS2-VASC score, trattare efficacemente l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, la sleep apnea e lo scompenso cardiaco, rinforzare i cambiamenti dello stile di vita, screening del declino cognitivo e demenza).

Giampiero Esposito nell’ultima relazione “Rivascolarizzazioni miocardiche con bypass” ha messo in evidenza come oggi sempre più frequentemente si faccia un intervento ibrido: es. PTCA su circonflessa e/o coronaria destra, bypass con mammaria su discendente anteriore in minitoracotomia. Il trattamento chirurgico deve essere sartoriale ma la correzione deve essere quanto più completa possibile. L’insufficienza mitralica, per esempio, va trattata con la patologia coronarica, perché è anche dovuta al rimodellamento del ventricolo sinistro, al tethering dei lembi, alla dilatazione annulare. Spesso è sufficiente inserite un anello, meglio se non inferiore a 30 mm, per non creare stenosi mitralica post-impianto. Bisogna, inoltre, riposizionare i papillari e reimpiantare le corde e talvolta eliminare anche l’aneurisma del ventricolo sinistro.

Di seguito, foto del Congresso; Le  e relazioni sono consultabili e scaricabili dal sito www.ancecardio.it.