MAURIZIO BARONI
Segretario Regionale ANCE Emilia Romagna
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La fibrillazione atriale è una delle aritmie più frequenti e clinicamente significative; colpisce infatti un numero elevato di persone prevalentemente in età avanzata (fino al 10 % della popolazione oltre 80 anni). Tra i fattori di rischio i più importanti vi sono l’ipertensione arteriosa, l’obesità, il diabete mellito, le coronaropatie, l’abuso di alcolici, il fumo, la sedentarietà, le apnee ostruttive del sonno. Le problematiche legate alla fibrillazione atriale sono molteplici: terapia degli episodi acuti, profilassi delle recidive aritmiche, prevenzione dell’ictus in quanto l’aritmia è un’importante causa di stroke ischemico. Differenti sono le opzioni a disposizione del medico: farmaci antiaritmici, cardioversione elettrica, ablazione transcatetere, farmaci anticoagulanti. Inoltre, un adeguato controllo dei valori pressori, della glicemia, del peso corporeo e delle apnee sono elementi importanti per il controllo dell’aritmia, come anche un’adeguata attività fisica. A tale proposito è stato recentemente pubblicato su Journal of y (American College of Cardiologi (JACC) un interessante studio proprio sul ruolo dell’esercizio fisico nei pazienti con fibrillazione atriale: the ACTIVE-AF randomized controlled trial. Lo studio ha randomizzato 1:1 120 pazienti, di età compresa tra 18 e 80 anni, con fibrillazione atriale sintomatica parossistica o persistente, che dovevano avere presentato un episodio di fibrillazione atriale documentato negli ultimi 3 mesi e non essere stati sottoposti a procedura ablativa nel corso degli ultimi 12 mesi, ad un programma strutturato di esercizio e attività fisica, adattato alle caratteristiche del singolo soggetto, sia a domicilio che sotto supervisione della durata di 6 mesi più altri 6 mesi di follow-up confrontato con “standard medical care”. Erano esclusi pazienti con fibrillazione atriale permanente, pregresso infarto miocardico (12 mesi), pregresso intervento cardiochirurgico (12 mesi), malattie autoimmuni, malattie infiammatorie sistemiche, riduzione della funzione sistolica del ventricolo sinistro (FE < 45 %), valvulopatie di grado moderato o severo, incapacità a compiere attività fisica per problemi muscolo-scheletrici. Scopi dello studio sono stati: valutare la ricorrenza di fibrillazione atriale in assenza di farmaci antiaritmici e procedure di ablazione e la severità dei sintomi determinata mediante apposito questionario clinicamente validato (AFSS questionnaire). L’esercizio fisico comprendeva una seduta settimanale individuale condotta da personale esperto per i primi 3 mesi e poi quindicinale per i successivi 3 mesi e un programma personalizzato settimanale da svolgere a domicilio di attività fisica di tipo aerobico mediante sedute di walking, swimming, cycling e light jogging da aumentare gradatamente fino a un target di 210 minuti a settimana e con la possibilità di sedute supplettive sotto supervisione in caso di difficoltà a completare il programma domiciliare. Le sedute supervisionate erano condotte con treadmill o cicloergometro con intensità pari al 85-90 % del valore di frequenza cardiaca determinato durante il test cardiopolmonare basale. Nel gruppo di controllo erano previsti incontri individuali esplicativi sui benefici dell’attività fisica nei pazienti con fibrillazione atriale consigliando di svolgere 150 minuti a settimana di moderata attività fisica, ma nessun programma personalizzato. Tutti i partecipanti proseguivano i farmaci impostati dal cardiologo di riferimento, non a conoscenza del gruppo di randomizzazione. L’AFSS questionnaire che valuta la frequenza, la durata e la severità dei sintomi correlati alla fibrillazione atriale veniva somministrato al basale e a 6 e a 12 mesi. Il protocollo prevedeva un monitoraggio del ritmo della durata di 4 giorni al basale e dopo 6 e 12 mesi; un ulteriore monitoraggio di 4 giorni in caso di sintomi compatibili con fibrillazione atriale, una valutazione clinica e un elettrocardiogramma completo al basale e a 3 e 9 mesi, un test cardiopolmonare massimale al basale e a 6 e 12 mesi, un ecocardiogramma transtoracico al basale e a 6 e 12 mesi. Il riscontro di episodi di fibrillazione atriale di durata superiore a 30 secondi al monitoraggio holter, la presenza dell’aritmia ad un elettrocardiogramma eseguito dopo episodi sintomatici, episodi sintomatici che richiedevano una terapia antiaritmica o l’ablazione transcatetere erano considerati ricorrenza di fibrillazione atriale. Al termine del periodo di osservazione il 40 % dei pazienti arruolati nel gruppo di intervento era libero dall’aritmia rispetto al 20 % del gruppo di controllo (hazard risk 0.50; 95 % CI: 0.33-0.78; P 0.002), inoltre la severità dei sintomi si era ridotta maggiormente nel gruppo attivo: -2.3 punti (95 % CI: -4.5 a -0.1; P 0.041). Nel periodo di studio il 19 % dei pazienti sottoposti a esercizio era stato sottoposto ad ablazione rispetto al 23 % del gruppo di controllo parametro staticamente non significativo. Non modificati sono risultati peso corporeo, body mass index, pressione arteriosa sistolica e diastolica come pure i parametri ecocardiografici in particolare volume indicizzato dell’atrio sinistro, massa indicizzata del ventricolo sinistro e funzione diastolica ventricolo sinistro sia a 6 che a 12 mesi. Pertanto, un programma di esercizio aerobico individualizzato e attività fisica in pazienti con fibrillazione atriale sintomatica non permanente si è dimostrato efficace nel ridurre la severità dei sintomi riferiti dai pazienti e soprattutto nel favorire il mantenimento del ritmo sinusale in assenza di terapia antiaritmica e procedure di ablazione. I dati confermano il ruolo cardine delle modifiche dello stile di vita nella gestione dei pazienti con fibrillazione atriale in quanto sono stati ottenuti in assenza di modifiche di peso corporeo, valori di pressione arteriosa, struttura e funzionalità cardiache. La riduzione dei sintomi e degli episodi di fibrillazione atriale legata all’esercizio è stata ottenuta in assenza di variazioni del peso corporeo, della pressione arteriosa, delle dimensioni dell’atrio sinistro ed è secondo gli autori verosimilmente su base multifattoriale: miglioramento della riserva cardiopolmonare, modificazione di fattori aritmogenici quali riduzione del grasso pericardico, riduzione del burden delle apnee del sonno, miglioramento dell’equilibrio del sistema autonomico, miglioramento del controllo glico-metabolico. Lo studio ha coinvolto un limitato numero di pazienti e per un periodo di tempo abbastanza breve; per cui i risultati andranno confermati su casistiche più ampie e con follow-up più lunghi. Inoltre, dei pazienti scrinati solo un terzo ha accettato di partecipare (120 su 369) per cui potrebbe esserci un bias di selezione e l’attività fisica del gruppo di controllo non è stata monitorata. Inoltre, lo studio ha previsto solo l’ecocardiografia tecnica di imaging sicuramente inferiore rispetto alla risonanza cardiaca. L’esercizio fisico moderato che sappiamo ridurre i valori pressori, i valori glicemici, il peso corporeo, i parametri lipidici, ma soprattutto gli eventi cardiaci e la mortalità cardiovascolare e totale svolge un ruolo protettivo anche nei confronti delle recidive di fibrillazione atriale. Situazione quindi differente rispetto all’esercizio molto intenso e prolungato che sembra possa aumentare il rischio di fibrillazione atriale. Pertanto, l’esercizio fisico moderato deve essere consigliato da parte del medico ai pazienti con fibrillazione atriale per ridurre le recidive dell’aritmia.
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