Eventi cardiovascolari e mortalità nella “Ipertensione da camice bianco”: Revisione sistematica e meta-analisi
Giuseppe Trisolino, Specialista in Cardiologia – Segretario Regionale ANCE, Emilia-Romagna
L’ipertensione da camice bianco (WCH: white coat hypertension), termine coniato per la prima volta nel 1988 da Pickering, è una condizione relativamente frequente nella pratica clinica in cui l’emotività dell’individuo e in particolare l’ansia, gioca un ruolo fondamentale. (1) La prevalenza della WCH è stimata tra il 9% e il 12%. (2) La WCH è caratterizzata da un aumento stabile dei valori pressori quando misurati in ambiente clinico e dalla pressoché completa normalizzazione dei valori quando misurati al di fuori del contesto clinico (mediante monitoraggio ambulatorio delle 24 ore). Essa non è una condizione da trascurare perché è associata, dai dati della letteratura, ad un rischio cardiovascolare più elevato, rispetto a quello dei soggetti normotesi. (3) Una conferma ulteriore viene da una recente meta-analisi di 27 studi clinici osservazionali, con almeno tre anni di follow-up, che ha coinvolto un totale di 60.000 pazienti: 38.487 soggetti normotesi, utilizzati come controlli e 25.786 pazienti affetti da ipertensione da camice bianco, non sottoposti a trattamento ipotensivo o ipertesi in trattamento che presentavano un “ effetto camice bianco “ (WCE: white coat effect), ovvero con una differenza tra i valori pressori alterati misurati in ambulatorio e i valori pressori medi rilevati nella registrazione delle 24 h. (4) I ricercatori hanno rilevato che i pazienti con WCH non in trattamento ipotensivo, confrontati con i soggetti normotesi, presentavano un rischio più elevato di sviluppare eventi cardiovascolari (+36%), di morte per tutte le cause (+33%) e di morte cardiovascolare (+109%). Negli studi, invece, che avevano incluso l’ictus nella definizione di evento cardiovascolare, l’incremento del rischio era risultato statisticamente significativo, ma meno evidente (+26%). Non si era rilevata differenza di rischio, invece, tra i pazienti in trattamento con WCE ed i soggetti normotesi. I risultati di questa meta-analisi confermano quanto sottolineato anche dalle linee guida europee 2018 (5), secondo le quali il rischio cardiovascolare e la prevalenza di danno agli organi bersaglio nei pazienti con WCH sono superiori a quelli dei pazienti realmente normotesi, ma inferiori a quelli dei pazienti con ipertensione arteriosa sostenuta. In particolare, i pazienti con WCH presentano un maggiore rischio di sviluppare una ipertensione arteriosa sostenuta, fenomeno che potrebbe spiegare almeno in parte l’aumentato rischio di eventi e di decesso. Per questo motivo i ricercatori concludono che i soggetti con WCH dovrebbero essere sottoposti ad un controllo periodico, almeno biennale, dei valori pressori “out of office” mediante monitoraggio domiciliare HBPM o ambulatorio delle 24 h. (ABPM). Allo stato attuale non vi sono evidenze a favore di un trattamento farmacologico dei pazienti con WCH, che potrebbe esporli al rischio di ipotensione arteriosa o di altri effetti collaterali della terapia, riservando, però, la possibilità di trattamento ai soggetti con profilo di rischio cardiovascolare elevato o nei quali è già documentabile la presenza di danno d’organo. Non vi sono evidenze, altresì, a favore della necessità di intensificare la terapia ipotensiva negli ipertesi in trattamento che presentano un WCE.
In un editoriale di commento (6) si sottolinea che “per gli adulti sottoposti a trattamento con farmaci antiipertensivi i risultati sono chiari, il WCE non è associato a un rischio maggiore e il monitoraggio out-of-office in questi pazienti sembra giustificato solo per prevenire l’intensificazione del trattamento antiipertensivo. Per quelli non sottoposti a trattamento, invece, il rischio cardiovascolare e di morte è solo moderatamente aumentato e comunque inferiore di quello associato all’ipertensione arteriosa sostenuta. Di conseguenza, è possibile concludere che il monitoraggio della pressione arteriosa effettuato mediante ABPM delle 24 ore o autonomamente dal paziente tramite HBPM è utile a distinguere tra WCH ed ipertensione arteriosa sostenuta nei pazienti con livelli elevati di pressione arteriosa misurata in un contesto clinico”.
1) Cobos B., Zolnierek K H et al. White coat hypertension: improving the patient–health care practitioner relationship Psychology Research and Behavior Management 2015;8: 133–41. 2) Cuspidi C. et al. White Coat Hypertension: to Treat or Not to Treat? Curr Hypertens Rep. 2016 ;18:80. 3) Huang Y, Huang W, Mai W, et al. White-coat hypertension is a risk factor for cardiovascular diseases and total mortality. J Hypertension 2017; 35: 677-88. 4) Cohen JB, Lotito MJ, et al Cardiovascular Events and Mortality in White Coat Hypertension: A Systematic Review and Meta-analysis Ann Intern Med. 2019;170:853-62. 5) Williams B, Mancia G, Spiering W, et al. 2018 ESC/ESH Guidelines for the management of arterial hypertension. European Heart Journal 2018; 39: 3021–3144. 6) Shimbo D, Muntner P. Should Out-of-Office Monitoring Be Performed for Detecting White Coat Hypertension? Ann Intern Med 2019; 170: 890-92. (Testo visionato ed approvato per la pubblicazione online dal Prof. Renato Nami)